Panettone: la vera storia tra origini e leggende (e mettiamoci una croce su).

Scritto da Prof. Lucio Toma
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Tra i dolci più illustri della ricorrenza più luminosa di ogni anno domini del mondo cattolico c’è senza ombra di dubbio il panettone. Ma se tutti lo mangiamo, pochi conoscono forse la storia di questo gradito ospite delle annuali mense natalizie. Le leggende sull’origine del panettone si rifanno a grandi linee a tre filoni: il primo vuole il pane dolce nascere come “pan del Toni”, il secondo ne riconduce l’origine all’inventiva di tal messer falconiere Ulivo degli Atellani, il terzo, che chiameremo amichevolmente la “pista-suora”, lo vuole creato per la prima volta in un convento da una certa Suor Ughetta. La più accreditata leggenda, sia per rilevanza del contesto che per i suoi risvolti pseudo-etimologici, è quella legata al garzone Toni. Siamo sempre alla corte di Lodovico il Moro, invitati al cenone di Natale del 1495 e ci sono personaggi del calibro di Leonardo da Vinci. La tavola è imbandita, il banchetto si svolge tra amene conversazioni e tutto sembra stia andando alla grande mentre in cucina si sta consumando un dramma. Il cuoco di Lodovico sbatte a destra e a sinistra strappandosi i capelli, urlando che ha bruciato il dolce, già vede la sua testa su una picca esposta a mo’ di luminaria fuori dal Castello Sforzesco. Proprio in quei frangenti fa capolino da dietro un angolo, tutto sporco di fuliggine, il garzone Toni che ben possiamo ironizzare abbia detto: “Boss, cioè, senti… c’è che io mi sono imboscato un zic di farina, quattro canditelli, un tocco di burro di quelli ciotti e li ho impastati per farmi Natale coi fratelli. Ora cioè, non so se ti garba la situa, ma ne è venuta fuori ‘sta roba qua che secondo me spacca, zio”. Lo chef, che già un po’ stava in panico di suo, un po’ non ci aveva capito una mazza di quello che aveva detto Toni (che un cognome non ce l’aveva: era Toni, Toni Ebbasta), prende quello strano impasto con scarpatura e lo fa portare a tavola. Tutti si leccano i baffi e Lodovico il Moro convoca lo scalco per fargli pubblicamente i complimenti per l’audace invenzione. “E come si chiama questa… Torta, o cuoco?” E lui: “L’è il pan del Toni!” – che, tramandatosi fino a noi, ha mutato il nome in pan-et-tone. Wow. Sipario. Le leggende sul panettone sembrano non lasciare dubbi su quando e dove il panettone sia nato: siamo nella Milano del tardo Quattrocento, dominata dagli Sforza.

Leggende a parte, rimane fuor di dubbio, che all’epoca del Granducato di Milano, quella dei “grandi pani natalizi” fosse già una tradizione antica. È invece una circostanza storica l’emanazione di un editto comunale avvenuta nel 1395 (anno dell’insediamento del Visconti come Duca di Milano). L’ordinanza permetteva anche ai prestinée (panifici) cittadini che rifornivano le classi medie e basse di produrre eccezionalmente, nel periodo natalizio, pani di frumento, nel resto dell’anno destinati esclusivamente all’aristocrazia.

È ipotizzabile che questo speciale pane natalizio, per la sua natura lussuosa, fosse conosciuto come pan di siori o, dato appunto il suo “tono” esclusivo, come pan de ton. È incerto, ma probabile a livello etimologico che il lemma “panettone” derivi da una contrazione di quest’ultima locuzione. Fino a questo momento il panettone è una sorta di pan basso con canditi e uvetta dal tenore di grassi molto ridotto rispetto al dolce che siamo abituati a pensare oggi: la rivoluzione della forma, e con lei della formulazione, arriverà negli anni ’20 del Novecento con il talento di Angelo Motta. Sarà infatti il pasticciere, industriale e imprenditore di Gessate ad aumentare per la prima volta il contenuto di uova e burro nell’impasto, circondando l’insieme con un pirottino in modo da favorire uno sviluppo verticale anziché in larghezza. Al Motta si deve anche la prima produzione di massa, che democratizza (sigh!) il prodotto artigiano fino a portare, in appena un centinaio di anni, ai tristissimi impasti burrosi di uva sultanina confezionati in cellophane da 750gr che vediamo oggi sugli scaffali dei supermercati. Nel corso dell’ultimo decennio, tuttavia, con una diffusa crescente cultura alimentare e quindi una maggiore domanda di cibi salutistici e nutraceutici stiamo assistendo a un ritorno e a un recupero delle tradizioni gastronomiche del passato in quanto rispondenti al bisogno di qualità e genuinità. Da qui la rivisitazione dello stesso panettone in chiave di ricercata artigianalità per un prodotto di altissima pasticceria attraverso l’utilizzo di ingredienti selezionati con cura (farine nobili, canditi, cioccolato, ecc.), metodi di lavorazione (tecnica a due impasti) e tempi lunghi di lievitazione. Negli ultimissimi anni poi, sempre sulla scia della domanda di dolci gustosi e leggeri, ma anche adatti agli intolleranti al lattosio, stanno riscuotendo un enorme successo i panEvo, vale a dire panettoni di ultima generazione nobilitati dall’uso di olio extra vergine di oliva al posto del burro: una saggia trovata di marketing che coniugando tradizione e innovazione va incontro alle esigenze salutistiche di un consumatore finalmente attento a ciò che mangia.   

 

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