Nel cuore del Tavoliere pugliese, dove le distese dorate di grano danzano al ritmo del vento, nasce un progetto fotografico che celebra uno dei simboli più iconici della cultura italiana: la pasta. "Di che pasta sono fatto" è il titolo dell'opera di Michele Fini, fotografo pluripremiato che ha saputo trasformare un alimento quotidiano in un potente mezzo espressivo, capace di raccontare storie, emozioni e ricordi.
Dalle mani della nonna all'obiettivo fotografico
Il viaggio di Michele inizia nella cucina di sua nonna, dove da bambino osservava affascinato il rituale quasi magico della preparazione della pasta. Una semplice "fontanella" di semola che, sotto mani esperte, si trasformava in un impasto elastico e vivo. Quei momenti hanno segnato profondamente la sua infanzia, creando un legame indissolubile con le tradizioni della sua terra.
Da bambino, Fini giocava con i diversi formati di pasta, trasformando le farfalle in creature volanti e i maccheroni in fischietti improvvisati. Quella creatività infantile è riemersa anni dopo, quando ha iniziato a esplorare il mondo della fotografia, trovando in essa un modo per esprimere la sua visione del mondo.
La rinascita attraverso l'arte
La vita di Michele non è stata sempre facile. Dopo un periodo di difficoltà e smarrimento, ha scoperto nella fotografia una forma di espressione capace di restituirgli gioia e significato. L'obiettivo della sua macchina fotografica è diventato lo strumento per catturare non solo forme e colori, ma anche atmosfere ed emozioni legate ai suoi ricordi più cari.
Il suo percorso professionale lo ha portato a lavorare in un pastificio, mantenendo vivo quel legame con la tradizione iniziato nella cucina della nonna. Questa esperienza ha ulteriormente arricchito la sua comprensione della pasta, permettendogli di vederla non solo come cibo, ma come protagonista di storie da raccontare.
Un progetto fotografico unico
"Di che pasta sono fatto" si articola in diverse sezioni tematiche: "Giochi da bambino", "Still life", "Lumacone's family", "Metamorfosi", "Pasta e donne" e "Pasta...io". Ogni serie di fotografie esplora un diverso aspetto del rapporto tra l'uomo e questo alimento simbolico, trasformando la pasta in personaggi, situazioni e metafore visive.
Il lavoro di Fini non è solo estetico, ma profondamente concettuale. Come lui stesso afferma, le sue opere sono "concettuali, creative e comunicative", capaci di narrare in modo semplice, diretto ed ironico. La pasta diventa modella e protagonista dei suoi scatti, acquisendo personalità e vita propria.
L'artista dietro l'obiettivo
Michele Fini è un fotografo pluripremiato in concorsi nazionali e internazionali, iscritto alla FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche) dal 2017, con le onorificenze EFIAF/b ed AFIAP. Nonostante si definisca "di poche parole", la sua fotografia parla eloquentemente, comunicando iconograficamente la sua visione del mondo.
Il suo approccio alla fotografia è quasi una sfida personale: l'ambizione lo spinge costantemente ad alzare l'asticella, cercando di ottenere il meglio da sé stesso in ogni scatto. Per Fini, fotografare non è semplicemente catturare un'immagine, ma "assaporare intensamente la vita".
Un invito alla scoperta
Con il suo progetto, Michele Fini ci invita a guardare oltre l'ordinario, a riscoprire la bellezza nelle piccole cose e a vedere il mondo con occhi diversi. La pasta, elemento quotidiano delle nostre tavole, diventa un simbolo più profondo del legame con le nostre radici, con la terra e con la creatività umana.
"Di che pasta sono fatto" non è solo un titolo accattivante, ma un invito a riflettere su ciò che ci compone, sulle storie ed emozioni che ci uniscono. È un'esortazione a esplorare le opere di Fini con curiosità e fantasia, lasciandosi trasportare in un mondo dove la pasta racconta storie universali di tradizione, resilienza e rinascita.
In un'epoca di rapidi cambiamenti e connessioni digitali, il lavoro di Michele Fini ci ricorda l'importanza di rimanere ancorati alle nostre radici, celebrando al contempo la capacità dell'arte di trasformare anche gli elementi più semplici della nostra quotidianità in potenti strumenti di espressione e connessione umana.