Difendere gli ulivi secolari nel tempo dell’intensivo, un dovere di identità e una scelta di futuro

Scritto da Antonio Pistillo
Image
Voce indipendente
Cronista del territorio
Promotore del prodotto enogastronomico

Nel Nord Barese, terra di luce e radici profonde, dove il vento profuma di salsedine e di foglie d’ulivo, l’agricoltura vive oggi una fase complessa e cruciale. Gli agricoltori – custodi silenziosi della terra – si trovano sospesi tra la necessità di innovare e il dovere di preservare. I nuovi impianti olivicoli intensivi e super-intensivi avanzano con efficienza, promettendo produttività e redditività in tempi incerti. Ma cresce, altrettanto forte, una domanda che tocca corde più profonde: che destino avranno gli ulivi secolari, patrimonio identitario del nostro Mediterraneo? La risposta non può essere dettata solo da logiche economiche. È innegabile: gli impianti moderni rispondono a esigenze pratiche. Consentono raccolta meccanizzata, uso razionale delle risorse idriche, varietà resistenti alle malattie. Dove la Xylella ha già colpito o dove gli ulivi non ci sono più, questi modelli rappresentano una via di sopravvivenza. Ma nei luoghi dove gli ulivi monumentali ancora parlano alla terra e alla storia, non si può procedere con la stessa logica. Quegli alberi non sono semplici colture: sono memoria vegetale, architettura del paesaggio, eredità culturale. Abbandonarli, sradicarli, dimenticarli, sarebbe come cancellare un capitolo della civiltà mediterranea. Gli ulivi secolari non sono solo “bellezza”: sono economia potenziale, turismo lento, educazione ambientale, cultura agricola. Sono anche resilienza: perché la biodiversità, la profondità delle radici e l’adattamento secolare al territorio li rendono parte della risposta al cambiamento climatico. Perché dunque non puntare su un modello integrato? Una visione che coniughi intensivo dove serve e tutela del paesaggio dove è ancora possibile. Agli agricoltori, spesso disorientati, serve una parola chiara: non sono soli. Il mondo istituzionale, le reti associative, il Mediterraneo delle comunità rurali devono affiancarli in questa transizione. Servono politiche di sostegno concreto, premi per la custodia del paesaggio olivicolo, incentivi per il mantenimento degli alberi storici, percorsi di oleoturismo e filiere di qualità che sappiano valorizzare non solo il prodotto, ma anche il contesto e la storia. Difendere un ulivo secolare non è un atto di nostalgia, ma una scelta di lungimiranza. È dire con coraggio che non tutto ciò che è moderno è migliore, e che un popolo senza radici è destinato a perdersi. Il Mediterraneo, culla delle civiltà, può e deve essere esempio di equilibrio tra produttività e identità. In questa terra del Nord Barese, dove la pietra incontra l’argento delle chiome, si può costruire un nuovo modello agricolo: più giusto, più rispettoso, più mediterraneo.

Condividi sui Social